La recente sentenza n. 6 del 2 gennaio con la quale la III Sezione Penale della Suprema Corte sembra aver riaperto il dibattito su un argomento che si credeva chiuso, alla luce delle recenti sentenze nn. 34419 e 34452/2023 delle Sezioni Unite Civili, dichiara che: nel diritto penale tributario è inapplicabile la distinzione tra crediti indebiti e inesistenti disciplinata in ambito sanzionatorio amministrativo, e che secondo gli Ermellini, due sono i movimenti che portano alla conclusione che la definizione: “credito inesistente”, non può essere applicata. Queste mosse sono:
- Che nonostante la riforma del 2015 abbia distinto le due fattispecie in ambito amministrativo e penale, la mancanza di uno specifico riferimento all’art. 13, D.Lgs. 471/1997 nel caso di indebito risarcimento ai sensi dell’art. 10 quater del D.Lgs. 74/2000, sostiene che la definizione di “credito inesistente” contenuta nella normativa tributaria non può essere applicata.
- Il requisito dell’identificabilità attraverso controlli automatizzati è ritenuto irrilevante, poiché, ragionando in direzione opposta, nella stessa disposizione coesistererebbero ingiustificatamente due diverse condizioni per una stessa condotta.
I fatti in questione
Il legale rappresentante di una società ha proposto ricorso, sostenendo che i giudici d’appello non avevano effettuato un’attenta analisi degli atti dell’indagine, non consentendo la comprensione sulla diversità degli elementi probatori e documentali dai quali si può chiaramente dedurre la conoscenza del contribuente di utilizzare in compensazione crediti d’imposta inesistenti.
Secondo il ricorrente, in sostanza, richiamando la nozione contenuta nell’art. 13, comma 5, D.Lgs. 471/1997, posto che per i crediti utilizzati in compensazione vi era la possibilità di intercettarli attraverso i cosiddetti controlli automatizzati, cioè confrontare la dichiarazione e i documenti conservati e rinvenuti durante la verifica, ci troviamo contro crediti d’imposta impropri, riconoscendo un credito inesistente solo se non è realmente reale, ad esempio perché supportato da documenti falsi anche se questo è indicato in dichiarazione.
L’analisi
La Corte ha ritenuto che l’articolo 13 si limita a definire solo il credito inesistente e allo stesso tempo non fornisce la definizione di credito indebito, non richiedendo la congiunta sussistenza dei due requisiti di fatto.
Se si ragionasse in senso contrario, applicando quindi solo la definizione dell’art. 13 in materia penale, si otterrebbe che, in caso di utilizzo di crediti non dovuti, non sia richiesto il requisito della loro facile rilevabilità dopo uno dei controlli automatizzati; mentre, nel caso di crediti inesistenti, tale requisito sarebbe richiesto.
Questo dopo aver fatto un parentesi dove hanno condiviso l’indirizzo delineato dalla sentenza n. 16353/2023, richiamando la sentenza n. 36393/2015, secondo cui la definizione di credito inesistente prevista dall’art. 13 è applicabile esclusivamente in materia di illeciti amministrativi fondata sul duplice presupposto della mancanza totale o parziale del requisito costitutivo dei crediti stessi, e della mancata accertamento di indebita compensazione attraverso i controlli di cui agli articoli. 36-bis e 36-ter del DPR 600/73 e dell’art. 54-bis del DPR 633/72.
Ciò perché, sebbene la riforma introdotta dal d.lgs. 158/2015 abbia contemporaneamente modificato entrambe le discipline (amministrativa e penale), generando in ciascuna una distinzione sanzionatoria tra la fattispecie di compensazione di crediti d’imposta indebiti e inesistenti, all’art. . 0-quater, D.Lgs. 74/2000, non è stato fatto esplicito riferimento all’art. 13. Quindi, è possibile che questa tesi porti a concludere che la definizione di credito inesistente contenuta nella normativa tributaria è inapplicabile in ambito penale.
Inoltre, la sentenza n. 7615, del 3 marzo 2022, con cui la terza sezione penale aveva indicato che la definizione di credito inesistente dovesse essere ricavata, anche ai fini penali, proprio dalla disposizione contenuta nel comma dell’art. 13.
La conclusione
Dopo le analisi suindicate, si conclude che la mancanza di una definizione precisa di credito inesistente, non consente di arrivare ancora a nessun punto fermo che riesca a chiarire e confermare una sentenza definitiva, ciò porta il rischio di far ricadere in ambito penale nella inesistenza ciò che, invece, in ambito amministrativo magari ricadrebbe, o addirittura è ricaduto, nella non spettanza.
Quindi è previsto che il principio di diritto di questi ultimi giudici venga ripreso anche in campo penale, per la correttezza logica del pensiero su cui si fonda la distinzione tra le due tipologie di credito.