Greenwashing. L’Unione europea sta lavorando a norme che consentiranno ad aziende e professionisti di fare affermazioni green non ingannevoli e quindi di operare con presunzione di legalità, tutto questo per evitare il “greenwashing” all’interno delle società.
Queste regole hanno lo scopo di incoraggiare le aziende a fare una corretta comunicazione di marketing ambientale, e arriveranno con la c.d. direttiva “green claims”, come uno specifico provvedimento Ue (già approvato dal Parlamento Ue il 12 marzo 2024 ed ora in attesa dell’esame del Consiglio Ue) dedicato agli standard che devono essere rispettati per dare veridicità alle “asserzioni verdi” utilizzate per la promozione di beni e servizi.
Greenwashing: cos’è
Quando aziende, istituzioni e organizzazioni celebrano le proprie attività come ecosostenibili, evidenziando gli effetti positivi di alcune e, allo stesso tempo, evitando di menzionare l’impatto ambientale negativo di altre (o dell’azienda nel suo insieme), praticano il Greenwashing.
Il greenwashing è, infatti, quella tecnica di comunicazione o di marketing che cerca di capitalizzare la crescente domanda di prodotti e comportamenti a basso impatto ambientale, evidenziando azioni che in realtà non sono autentiche ma, promosse con l’unico scopo di apparire più “sostenibili”.
In altre parole, quando una dichiarazione di sostenibilità contiene informazioni false o capaci di ingannare consumatori, investitori e altri operatori di mercato, oppure quando vengono omesse informazioni rilevanti su un prodotto o servizio, è greenwashing.
Green Claims: cos’è
Sono affermazioni che troviamo sulle etichette dei prodotti, nelle comunicazioni e nelle campagne promozionali che suggeriscono di ridurre l’impatto ambientale di un prodotto. Non sempre queste affermazioni poggiano su basi verificabili.
Greenwashing: la normativa
L’attuale disposizione fa seguito alla Direttiva 2024/825/UE, una legge che ha riformulato (proprio all’inizio di marzo 2024) la normativa madre dell’UE sulla tutela dei consumatori, includendo casi specifici di greenwashing negli elenchi delle pratiche commerciali ingannevoli, al fine di facilitare ( anche dal punto di vista probatorio) identificazione e trattamento.
Tra i comportamenti inseriti dalla Direttiva 2024/825/UE nella “lista nera” (della direttiva riformulata 2005/29/CE) rientrano:
- Dichiarazioni ambientali generiche e non dimostrabili nonché marchi di sostenibilità non basati su sistemi di etichettatura legalmente riconosciuti.
La direttiva in corso di approvazione sui “green claims” si inserisce in tale quadro repressivo, fissare standard minimi di attendibilità cui le dichiarazioni ambientali (marchi compresi) dovranno rispondere, con la duplice finalità di:
- Evitare l’utilizzo di dichiarazioni fuorvianti, che porterebbero aziende e professionisti a essere considerati responsabili di “greenwashing” ai sensi della Direttiva 2005/29/CE.
- Fornire ai consumatori informazioni commerciali più chiare, dettagliate, trasparenti e credibili sulle vere qualità “verdi” di beni e servizi.
Greenwashing: certificazione
Prima di rendere pubbliche le proprie asserzioni ambientali (compresi i marchi), le aziende e i professionisti devono:
- Far certificare tali asserzioni da verificatori riconosciuti dalle autorità pubbliche che soddisfano i requisiti minimi di affidabilità previsti dalla vigente direttiva;
- Fornire tutte le informazioni richieste dalla direttiva stessa nel corso della sua comunicazione al pubblico.
In particolare, le valutazioni ambientali devono essere seguite da un processo di valutazione preventiva che non ne verifichi la veridicità rispetto a requisiti specifici, quali:
- Scientificità,
- Integrità,
- Carattere e accuratezza dei dati conferiti al fondo;
- Tracciabilità della qualità fino al prodotto completo o meno;
- Importanza dei dati rispetto all’intero ciclo di vita del prodotto;
- Presenza o assenza di maggiore sostenibilità dei prodotti promossi secondo quella categoria.
Greenwashing: marchi ambientali
La direttiva in corso di adozione imporrà inoltre requisiti aggiuntivi per gli “schemi di etichettatura” ambientale, ovvero schemi di certificazione specifici che attestano che un prodotto, processo o professionista soddisfa i requisiti per l’assegnazione di un’etichetta ambientale.
Quindi, tutti i sistemi esistenti, infatti, dovranno adattarsi alle condizioni della nuova direttiva per continuare a funzionare.
Tuttavia, i futuri sistemi:
- se pubblici, dovranno essere preventivamente autorizzati dalla Commissione UE;
- se privati, dovranno essere approvati da ciascuno Stato membro, ma potranno essere approvati solo se offrono un valore aggiunto in termini di “ambizione ambientale”.
La certificazione delle dichiarazioni ambientali
In particolare, le asserzioni ambientali dovranno essere sottoposte ad un preventivo procedimento di valutazione che ne attesti la veridicità in relazione a specifici requisiti, tra cui:
- Scientificità,
- Completezza,
- Fonti e accuratezza dei dati posti a fondamento;
- Riferibilità delle qualità all’intero prodotto o meno;
- Significatività dei dati in relazione all’intero ciclo di vita del prodotto;
- Presenza o meno di maggior sostenibilità dei prodotti promossi rispetto a quelli della categoria.
La proposta di direttiva, presentata dalla Commissione Ue, è stata esaminata in prima lettura con esito favorevole dal Parlamento Ue il 12 marzo 2024. Esprimendo la propria posizione, l’Assemblea europea ha addirittura proposto, attraverso emendamenti, norme più stringenti in materia di questioni, tra cui:
- Una migliore qualità delle prove scientifiche a sostegno delle affermazioni;
- Carattere analitico per le dichiarazioni di industrie altamente inquinanti;
- Particolare controllo sulle dichiarazioni ambientali trasmesse dalle piattaforme online.
L’iter legislativo proseguirà dopo le elezioni europee, mentre il voto espresso dalla Camera del Parlamento Ue manterrà pieno valore giuridico nella futura legislatura.
In ogni caso, la trattazione della direttiva in questione non pregiudicherà l’operatività della citata direttiva 2024/825/UE sulla repressione del greenwashing, le cui disposizioni dovranno essere recepite a livello nazionale dagli Stati membri entro marzo 27 del 2026, ed avrà efficacia dal successivo 27 settembre; recepimento che in Italia verrà probabilmente attuato aggiornando il D.Lgs. 206/2005, la disposizione contenente il “Codice del Consumo”, già utilizzata per contrastare i comportamenti di greenwashing ma ad oggi priva di disposizioni specifiche al riguardo.
Greenwashing e la sostenibilità
Informazioni accurate e trasparenti sulle pratiche sostenibili sono essenziali per consentire ai consumatori di prendere la miglior decisione e promuovere un’economia più sostenibile a lungo termine.
Inoltre, le aziende che sono sinceramente impegnate a migliorare la sostenibilità ambientale dei loro prodotti trarranno beneficio da questi nuovi standard. Saranno riconosciuti e premiati più facilmente dai consumatori, il che potrebbe portare ad un aumento delle vendite piuttosto che ad affrontare una concorrenza sleale. La presente proposta contribuirà pertanto a creare condizioni di parità per quanto riguarda le informazioni sulle prestazioni ambientali dei prodotti.